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Medellin riparte dall’architettura

Sapete che noi di altraQualità abbiamo per la Colombia un amore particolare. In Colombia, insieme ai partner e amici di Sapia abbiamo attivato un progetto di sviluppo della microimprenditorialità e stiamo imparando quanto i colombiani siano creativi, vitali e innovativi. Non siamo gli unici a pensarlo: leggete l’articolo del New York Times tradotto da Internazionale sull’architettura di Medellin

Da qualche tempo, se chiedete una prova del fatto che l’architettura e gli spazi pubblici hanno il potere di cambiare il destino di una città, architetti e urbanisti vi parleranno di Medellín.
Una ventina d’anni fa questa era la città di Pablo Escobar, con un tasso annuale di 381 omicidi ogni centomila abitanti.
Un dato simile a New York corrisponderebbe alla cifra quasi incredibile di 32mila morti violente all’anno.
Ma negli ultimi anni la seconda città della Colombia è diventata un importante centro economico, con una popolazione di quasi tre milioni e mezzo di persone, una iorente industria del turismo e un ritrovato orgoglio civico.
Merito anche dei nuovi ediici pubblici, delle piazze e di un eiciente e incredibilmente pulito sistema di metropolitane e funivie.
La metropolitana di Medellín collega i quartieri ricchi a quelli poveri e incoraggia l’edilizia privata.
E, nonostante le proteste che si sono levate in altre zone della Colombia a causa dei costi di costruzione, per i cittadini è diventata il simbolo del rinnovamento.
Su un treno stracolmo che ho preso poco dopo essere arrivato in città, la folla di passeggeri si faceva da parte per permettere a una donna delle pulizie di lavare il pavimento.
Quella stessa sera mi sono diretto verso una baraccopoli su un pendio, dove bande rivali sparano ancora a chi supera inconsapevolmente dei conini invisibili.
Da poco qui è stata costruita una scala mobile che si arrampica per 400 metri, un progetto molto discusso perché è costato sette milioni di dollari e non prevede un collegamento alla rete di trasporto urbano.
Ma ora i circa 12mila abitanti del quartiere percorrono in cinque minuti quella che prima era una scalata di 30 piani.
Sono salito a piedi, superando soldati armati, madri che prendevano iato sui decrepiti scalini che si snodano su per la montagna e bambini in tricicli di plastica che si lanciano da salite ripidissime, fino a un coloratissimo casotto di calcestruzzo, un fatiscente fortino afacciato su una distesa di tetti di lamiera e di fogne a cielo aperto.
La baracca è la sede di Son batá, un’associazione culturale fondata da alcuni ragazzi neri provenienti dalla regione nordoccidentale del Chocó.
Son batá promuove la musica e la danza tipiche del Chocó e sfrutta un’altra iniziativa del comune di Medellín: il bilancio partecipativo.
Gli abitanti della zona hanno deciso di usare una parte dei inanziamenti dello stato per nuove scuole, ambulatori e borse di studio.
Son batá ha usato il denaro per assumere i maestri di musica e comprare gli strumenti, e presto aggiungerà alla sua sede uno studio di registrazione.
Un gruppo di musicisti mi ha mostrato la sala in costruzione.
Da un’altra stanza, la musica si difondeva nel quartiere e nell’aria calda della notte.
Rivoluzione culturale Sono andato a Medellín per osservare gli ambiziosi e fotogenici ediici che sono stati costruiti negli ultimi anni, ma anche per capire quello che rimane da fare.
La violenza è ancora difusa, ma si è ridotta notevolmente: oggi ci sono 60 omicidi ogni 100mila abitanti.
Ovviamente l’architettura non basta per spiegare questa trasformazione, ma le due cose non sono neanche totalmente scollegate tra loro.
In tutto il mondo gli studiosi di architettura hanno concentrato l’attenzione sugli esperimenti formali, come se l’estetica e l’attivismo sociale, le due principali preoccupazioni dei modernisti, si escludessero a vicenda.
Medellín è la prova che non è così, e non dovrebbe essere così.
L’architettura, qui e altrove, fa parte di una più ampia ecologia sociale ed economica.
Altrimenti diventa un lusso, senza alcun senso tranne che per se stessa.
Ma la storia dell’evoluzione di Medellín non è così rosea né così semplice come la dipingono i sostenitori della nuova architettura.
Di solito viene raccontata come il trionfo di Sergio Fajardo, iglio di un architetto e oggi governatore della regione, che è stato il sindaco visionario della città dal 2004 al 2007.
In quel periodo ha avviato un progetto per legare lo sviluppo dell’istruzione e della collettività alle infrastrutture e all’architettura.
Ma la trasformazione della città era cominciata prima ancora che Fajardo si insediasse al comune, con un misto di attenta pianiicazione urbanistica, programmi antiterrorismo, iniziative sociali promosse dalla Germania e dalle Nazioni Unite e una politica nazionale che considera gli interventi architettonici un mezzo per combattere la povertà e la criminalità.
Quello che caratterizza Medellín è la particolare forza della sua cultura urbanistica, che oggi è quasi biglietto da visita della città.
Il nuovo sindaco, Aníbal Gaviria, mi ha parlato per un’ora del suo sogno di eliminare una trafficatissima superstrada che attraversa il centro della città, di costruire una linea tramviaria sulle colline per arginare la proliferazione delle baraccopoli, di aggiungere una cintura di ediici pubblici lungo questa linea, di ripulire il iume Medellín e di aumentare la densità di popolazione del centro: tutti miglioramenti intelligenti che rilettono un grande senso civico.
L’impressione è che in Colombia, un paese con un’economia abbastanza robusta da consentire progetti lungimiranti, ogni sindaco voglia realizzare enormi progetti architettonici e infrastrutturali per non sembrare provinciale.
Gaviria, gli architetti locali, gli uomini d’afari e i politici con cui ho parlato mi hanno tracciato il quadro di una città in cui la violenza, oggi in gran parte attribuibile ai piccoli traicanti di droga, rimane un problema grave e le conquiste sono temporanee.
A Medellín le persone sono scettiche sul futuro, diidano delle soluzioni facili e dell’architettura fine a se stessa.
Ma allo stesso tempo sono consapevoli dei vantaggi economici e sociali che l’architettura e i nuovi spazi pubblici possono creare, e dell’importanza delle politiche di rinnovamento urbano a lungo termine.
Alejandro Echeverri, uno dei principali arteici della trasformazione della città durante l’amministrazione Fajardo, ha deinito questa ilosoia “un approccio olistico”.
Sono arrivato qui da Bogotá, i cui programmi di rinnovamento a partire dalla ine degli anni novanta hanno gettato le basi per la rinascita di Medellín.
Ma ora la capitale è in diicoltà, perché il suo famoso sistema di trasporto rapido su autobus è sovraccarico e gli abitanti hanno sempre meno iducia nel futuro.
Medellín, al contrario, può contare ancora su una sorta di feroce orgoglio civico, grazie alla sua bella architettura modernista degli anni trenta, a una squadra di giovani architetti molto apprezzata e all’impegno delle imprese locali per migliorare il benessere sociale.
Uno sforzo che parte dalla più grande azienda della città: la società di servizi statale Empresas Públicas de Medellín (Epm).
Non si può capire la rinascita architettonica di Medellín senza tener conto del ruolo della Epm, che fornisce ai suoi abitanti acqua, gas, servizi igienici, telecomunicazioni ed energia elettrica.
Per legge ha il compito di fornire acqua potabile ed elettricità anche alle baraccopoli abusive.
Quindi, a differenza di quello che succede a Bogotá, dove nei quartieri più degradati mancano i servizi di base, a Medellín i servizi essenziali sono garantiti.
Senza contare che i proitti dell’Epm (circa 450 milioni di dollari all’anno) sono direttamente impiegati per costruire nuove scuole, piazze, metropolitane e parchi.
Una delle più belle piazze del centro di Medellín è stata un dono dell’Epm.
E oltre le baraccopoli della zona nordorientale della città, in cima alla montagna, l’azienda ha realizzato un parco forestale collegato al quartiere con una funivia.
Federico Restrepo è stato il responsabile della pianificazione urbanistica durante l’amministrazione Fajardo e ora è direttore dell’Epm.
“Secondo noi tutto è collegato: istruzione, cultura, biblioteche, sicurezza, spazi pubblici”, mi ha detto.
“Nel 2002 meno del 20 per cento degli studenti delle scuole pubbliche di Medellín raggiungeva la media nazionale.
Dal 2009 sono più dell’80 per cento.
Ovviamente non dipende solo dal fatto che abbiamo costruito e ristrutturato le scuole”, ha continuato.
“Bisogna lavorare sulla qualità dell’insegnamento e dell’alimentazione oltre che sull’architettura.
Ma l’idea generale è che il governo dovrebbe fornire a ricchi e poveri la stessa qualità di istruzione, di trasporto e di architettura pubblica.
In questo modo si favorisce l’inclusione sociale”.
Ma l’inclusione non può essere imposta dall’alto.
Deve essere afermata con iniziative piccole ma signiicative.
Nel diicile quartiere Comuna 13 ho incontrato due rappresentanti di Revolución sin muertos, un’associazione fondata non molto tempo fa da un gruppo di artisti hip-hop che riiutano la cultura delle gang.
I ragazzi mi hanno accompagnato a fare un giro tra i graiti.
Su un afollato angolo di strada, Daniel Felipe Quiceno, noto come il Cane, e Luis Fernando?lvarez, detto Aka, mi hanno indicato il murale realizzato da quattro loro compagni, uccisi dalle bande locali.
Revolución sin muertos dipinge i muri di tutto il quartiere e a volte i residenti aggiungono una scritta, quasi a voler dimostrare il loro sostegno all’iniziativa.
I progressi sono lenti.
Se ci si allontana dalle nuove piazze, dalla biblioteca e dalle stazioni della funivia ino ad arrivare al barrio Santo Domingo, sulle colline del distretto nordorientale, si capisce che il cambiamento è stato sensazionale ma è fragile.
Una mattina mi sono incontrato con Echeverri al capolinea della funivia per fare il giro dei quartieri poveri.
“Prima ancora di Fajardo stavamo già pensando a come usare la funivia per trasformare l’area circostante, per fare delle sue stazioni il sistema nervoso del quartiere”, ha ricordato.
“Nei barrios c’è sempre stata tanta energia, ma era scollegata dal resto della città”.
Siamo passati in macchina attraverso un mare di costruzioni abusive.
In quello che un tempo era un quartiere troppo pericoloso anche per le pattuglie della polizia, siamo scesi e abbiamo passeggiato attraverso un suq di ristoranti, scuole e negozi di abbigliamento, un reticolo di strade che conducono a piazze trafficate, fino alla biblioteca España, il simbolo della nuova Medellín.
“È un seme piantato per far crescere la iducia”, ha detto Echeverri per descrivere il quartiere dopo la sua ristrutturazione.
“Ma questo è solo l’inizio”, ha aggiunto, indicando la distesa di baracche appena oltre le nuove costruzioni.
Secondo lui, tutti gli articoli dei giornali sul recupero di questo quartiere sono stati un grande riconoscimento, ma hanno anche avuto l’efetto involontario di spingere le autorità a guardare altrove, a progetti politicamente meno complessi.
Giovani leve Echeverri mi ha fatto da guida alla biblioteca, un progetto da quattro milioni di dollari: tre blocchi di pietra nera collegati tra loro arroccati a 500 metri sopra la valle, progettati dal geniale architetto di Bogotá Giancarlo Mazzanti.
La biblioteca è diventata un luogo d’incontro della comunità e uno dei simboli della città.
Dall’esterno è imponente.
Ma all’interno ci sono seri problemi.
Gli ediici sono strutture in acciaio rivestite di piastrelle di pietra scura, con nuclei di calcestruzzo galleggianti – una sorta di scatole cinesi con sale di lettura, un asilo, un auditorium e altro ancora.
Il materiale di costruzione è scadente, orientarsi è diicile, l’interno è claustrofobico, l’acustica terribile, le inestre sono poche.
Più interessante, anche se meno appariscente, è un’altra biblioteca di Medellín progettata da Mazzanti: la León de Greif a La Ladera.
Anche questa è formata da tre ediici, ma in questo caso si tratta di strutture a sbalzo ben collegate su piedistalli di ardesia, che si aprono a ventaglio in cima a un pendio.
Il tetto comune è collegato a un parco vicino.
La vista è spettacolare.
Le sale di lettura e le aree di gioco per i bambini hanno tutte inestre panoramiche.
Echeverri mi ha accompagnato poi giù per la collina ino ad Andalucía, un altro dei quartieri nordorientali.
Fino a qualche anno fa era governato da bande che occupavano i lati opposti di un torrente intasato dai riiuti.
Poi il quartiere è stato completamente rinnovato con un complesso sportivo e una scuola, nuovi marciapiedi, palazzi non troppo alti e un ponte sul torrente.
Sono state aperte decine di negozi.
Abbiamo visto uomini armeggiare sotto le auto al sole cocente o chiacchierare davanti a una birra.
Tornando da scuola i bambini si fermavano a mangiare il gelato sul ponte.
Qui ho conosciuto Mateo Gómez, un ragazzo di vent’anni che andava al lavoro in una fabbrica di birra in centro.
Mi ha spiegato che la funivia ha ridotto il suo viaggio della metà.
“La biblioteca España ha cambiato la nostra concezione di noi stessi”, ha aggiunto.
“Ma mancano ancora spazi culturali, la biblioteca chiude troppo presto, la situazione è ancora molto incerta”.
Dalle colline del nordest ho fatto il giro di altre nuove costruzioni di Medellín, situate in buona parte dentro e intorno al giardino botanico, che prima di diventare troppo pericoloso ed essere chiuso era il parco principale della città.
Per un po’ si è pensato di demolirlo.
Poi, una decina d’anni fa, grazie a Pilar Velilla, che all’epoca ne era la direttrice, e con il sostegno di Fajardo, la zona è stata completamente trasformata.
Echeverri ha progettato un bellissimo museo della scienza e una piazza di fronte al giardino, e il parco è stato amorevolmente rinnovato, le mura sono state abbattute e all’ingresso è stato aggiunto un padiglione circolare, progettato da Lorenzo Castro e Ana Elvira Vélez.
Un vero gioiello.
Dopo che il progetto iniziale di assumere Norman Foster per creare un altro padiglione è stato bocciato, le autorità locali hanno indetto un concorso a livello locale, per lasciare spazio ai giovani architetti di Medellín.
I vincitori, lo studio Jprcr (diretto da Camilo Restrepo) e il Plan B (degli architetti Felipe Mesa e Alejandro Bernal), hanno proposto l’Orquideorama, un patio coperto da un’imponente tettoia in legno reticolato alta 22 metri .
Le sue dieci strutture esagonali a forma di iore-albero, che raccolgono le fresche acque piovane e si intrecciano come favi, ospitano una collezione di orchidee e una riserva di farfalle.
La struttura è al tempo stesso lineare e spettacolare.
Ma l’ediicio più importante di tutti è a pochi isolati di distanza, il centro culturale del quartiere Moravia, vicino a un’enorme discarica.
È una delle ultime opere dell’architetto colombiano Rogelio Salmona, in uno stile quasi moresco di rainata semplicità, tutto trasparenza, modestia e apertura.
Carlos Uribe, l’artista che gestisce il centro, mi ha mostrato con orgoglio l’alveare sotterraneo delle sale di prova, lo studio di danza e il teatro aperti verso l’esterno, la biblioteca e il cortile iancheggiato da basse rampe, che costituisce uno spazio piacevole e sicuro del quale si sentiva la necessità, e dove i bambini giocano sotto gli occhi di insegnanti attenti tra fontane gorgoglianti che ricordano l’Alhambra.
Di recente le autorità hanno trasferito le persone che abitavano vicino alla discarica in un nuovo quartiere in periferia.
Una scelta comprensibile ma che è un esempio lampante di pianiicazione urbana sconsiderata, perché lo spostamento ha allontanato i cittadini dai loro posti di lavoro e da quello che era diventato il loro quartiere, dove l’opera di Salmona era un punto di riferimento.
“Naturalmente continueremo a migliorare le scuole e i quartieri”, mi ha detto il sindaco Gaviria.
“Ma abbiamo anche bisogno di occuparci della montagna e del iume”.
L’impressione che ho avuto da questa conversazione è che politicamente sia più facile presentare nuovi piani per eliminare superstrade e mandare tram sulle colline che risolvere vecchi problemi, e che la città dovrebbe scegliere con più attenzione le sue politiche abitative.
Poco prima di partire ho incontrato otto giovani architetti al museo di arte moderna.
“Non siamo ancora abbastanza attenti in termini di edilizia pubblica”, concorda Verónica Ortiz Murcia di Arquitectura y Espacio Urbano.
“Tra i giovani architetti c’è la sensazione difusa di un’occasione perduta”, ha detto un altro architetto, Catalina Ortiz.
Anche Camilo Restrepo e Alejandro González la pensano allo stesso modo.
Il loro scetticismo è forse il segnale più incoraggiante che ho trovato a Medellín.
La città ha fatto passi da gigante usando come catalizzatore l’architettura d’avanguardia, ma i giovani architetti premono per soluzioni ancora più creative.
Danno per scontato che il loro compito consista sia nell’introdurre innovazioni formali sia nel ribadire il ruolo sociale dell’architettura, nell’andare oltre la generazione precedente, che è rimasta ancorata all’idea di costruire ediici vistosi da mettere in mostra sulle copertine delle riviste patinate.
Questa energia irrequieta della generazione emergente, in una città dove le persone prendono molto sul serio l’obiettivo di una maggiore uguaglianza, sembra promettere che il cambiamento continuerà.